La riforma Cartabia, agli articoli 473-bis.4 e ss. del Codice di Procedura Civile, ha regolamentato la disciplina dell’ascolto del minore.
Il minore viene sentito dal giudice quando ha compiuto dodici anni o anche in età inferiore, ove abbia la capacità di discernimento, in tutti i procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano.
L’art. 473-bis.4 c.p.c. specifica che le opinioni del minore devono essere tenute in considerazione sia in relazione alla sua età che al suo grado di maturità.
Su questo punto è intervenuta la Cassazione Civile con la sentenza n. 2947 del 6 febbraio 2025, nella quale ha sancito che le dichiarazioni rese dal minore non possono costituire l’unico elemento di decisione del giudice.
La Cassazione si è pronunciata in seguito al ricorso presentato dal padre dopo che la Corte d’Appello di Napoli aveva completamente modificato il regime dei rapporti personali tra i genitori e la figlia, trasformando l’affidamento super esclusivo al padre in un affidamento ai Servizi Sociali con collocamento prevalente presso la madre, anziché con il padre.
La decisione del giudice di prime cure di collocare la figlia presso il padre con collocamento super esclusivo è stata dettata dall’esito della CTU, che ha evidenziato gravi carenze genitoriali della madre nel garantire la partecipazione dell’altro genitore alla vita della figlia, nonché l’attività manipolatoria materna ai danni della bambina, tramite condotte escludenti e pregiudizievoli per la stessa.
La Corte d’Appello, senza aver preso in considerazione le valutazioni compiute dal Tribunale e la complessa vicenda familiare, ha disposto il rientro della minore, dell’età di 11 anni, presso la casa materna dopo che la stessa aveva espresso al giudice il proprio desiderio di tornare a Napoli, pur non lamentando alcuna situazione pregiudizievole nell’ambiente paterno.
La Suprema Corte con la sentenza n. 2947 del 2025 ha cassato il decreto della Corte d’Appello di Napoli, affermando che l’interesse supremo del minore va assicurato rispettando il principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio al fine di consentirgli di avere salde relazioni con entrambi i genitori.
Con la decisione del giudice di secondo grado il diritto alla bigenitorialità del minore risultava compromesso dal comportamento ostruzionistico della madre.
Tale orientamento è concorde sia a livello nazionale che sovranazionale.
La Corte EDU, infatti, ha stabilito che nelle cause in cui ci sono in gioco questioni relative all’affidamento di minori e a restrizioni del diritto di visita, l’interesse del minore deve prevalere su qualsiasi altra considerazione.
La Suprema Corte ha affermato inoltre che è errato identificare il superiore interesse del minore con la volontà da questi espressa, anche se con maturità e consapevolezza.
L’ascolto del minore non può costituire l’elemento esclusivo in base al quale valutare il suo superiore interesse, che deve essere valutato all’interno del quadro complessivo dei rapporti familiari.
Il giudice deve quindi compiere una valutazione completa e non decontestualizzata dagli altri fattori, che devono essere necessariamente presi in considerazione per l’adozione delle misure idonee a creare le condizioni necessarie per la piena realizzazione del diritto alla bigenitorialità.